mercoledì 25 luglio 2012

Lettera aperta a Massimo Minimi


Esimio gallerista Massimo Minimi, francamente la sua recente presa di posizione dove minaccia di spostare la sua galleria fuori dagli italici confini mi sembra anacronistica e fuori luogo, non curante di un contesto storico e sociologico ineluttabile.
Gallerie come la sua di cosa hanno sopravvissuto ad oggi se non dello sciacallaggio del libero mercato? 
Il libero mercato ha o non ha saccheggiato e depredato le casse pubbliche? 
Quanti dei suoi collezionisti si sono potuti permettere di comprare da lei per nascondere conti non fatturati? 
Lei stesso ha sempre fatturato il valore reale dell'opera? 
Io penso che sia giusto che spazi come i suoi chiudano e che finalmente l'arte e la ricerca artistica possa essere riconsegnata agli artisti, questo sistema economico fatto di inutili intermediazioni e di valore di capitale che si gonfia in maniera spropositata ha fallito e non è solo una questione italiana anche se in maniera strumentale e piagnona lei e sciacalli che come lei hanno cavalcato senza scrupoli i tempi di vacche magre vuole fare sembrare. Vuole che rispondo al quesito di Ghada Amer? 
Gli italiani che comprano all'estero sono quelli che non fatturano, che non pagano le tasse e che stanno portando il debito pubblico allo scatafascio, detto questo le auguro buon lavoro ma mi auguro che in fondo in fondo la finanza riesca a beccare lei ed i galleristi come lei al confino.

Mario pisci a forasa, dal Sud Sardegna









Tutti a Ponte Chiasso?
E se dieci gallerie italiane di un certo peso aprissero una filiale a Ponte Chiasso? Be’, sarebbe forse un gesto clamoroso, non vi pare, cari colleghi?

Se ci trovassimo in dieci che vanno d’accordo, con idee simili, che non ne possono più dell’Iva al 21 e poi il 23% della SIAE che pretende il 4% quando comperi da un notaio, un altro 4% quando vendi a un avvocato, e farà tra poco 23+8%= 31%!...

Voi mi dite, anzi mi insegnate, che così andiamo a sbattere, tra poco.
Quando cominceremo a spararci a una tempia, a impiccarci anche noi o a buttarci giù da un balcone?

Invece di suicidarci propongo un’azione clamorosa da un lato e necessaria dall’altro.
Poi ognuno di noi dieci potrà scegliere se chiudere la galleria in Italia o tenerla.
Intanto avremo almeno lanciato una provocazione, posto un problema, evidenziato una situazione insostenibile.

Perché i nostri colleghi d’oltralpe ci fottono regolarmente vendendo con Iva al 5,5% i francesi, 7% i tedeschi, 8% gli svizzeri e questi anche senza Siae. Perché gli americani non hanno né Iva né dds e noi stupidi sì?
Perché una classe politica di ladri europei ci ha messo nella merda? Da chi hanno preso i soldi? Perché la lobby degli artisti che conta centomila iscritti ha fottuto la lobietta dei galleristi che hanno solo duemila associati nella F.E.A.G.A. (la federazione europea della nostra categoria)?
E dove vanno veramente i soldi che diamo alla Siae quando questa non trova il de cuius?

Se aprissimo a Ponte Chiasso una sede comune, ci organizzassimo delle mostre, bene inteso, e ci facessimo transitare le nostre vendite, anche quelle verso l’Italia, risparmieremmo, noi e i nostri collezionisti, una montagna di soldi e riusciremmo a contrastare la concorrenza che oggi, con i prezzi che girano, ci supera sempre di un bel 20% circa e scusate se è poco.
Niente di personale, anzi sono amici, ma quando Dabbeni a Lugano o Verna e Hauser & Wirth a Zurigo espongono Paolini, Dan Graham o Jason Rhoades, se io fossi un collezionista milanese ci andrei di volata (naturalmente già lo fanno... e fanno bene).

Ghada Amer un mese fa a New York mi chiedeva come mai io non vendo le sue opere mentre Cheim & Read ne vendono tante proprio agli italiani! E mi chiedeva come mai noi ci lamentiamo che in Italia il mercato è finito, mentre collezionisti italiani comperano bellamente più di prima e a manetta.
Dunque chiamiamo dieci gallerie, non di piu', ma tutte assieme per costituire un fatto clamoroso.
Già molte gallerie italiane lo hanno fatto individualmente, alla chetichella, anticipando i tempi e vedendo lontano.
Sperone in Usa e Svizzera, De Cardenas in Svizzera, Tornabuoni Svizzera e Francia, Continua in Francia e Pechino... Altri hanno scelto Londra (De Carlo, Sprovieri, Corvi Mora, Greengrassi, ma non dimentichiamo John Eskenazi o Pescali...), E Massimo Martino, caro amico, che lo aveva capito vent’anni fa? Chissà cosa pensava di noi, quelli che restano, tanto per fare citazioni. D’altronde con i pezzi e i prezzi che aveva lui dall’Italia non sarebbe mai stato possibile.
Insomma, potremmo tenere la casa madre qui e una vetrina fuori, altri potrebbero fare il contrario, dipende dai singoli.
Ma un bel gesto collettivo farebbe sicuramente notizia.
Sono sempre stato contrario ad abbandonare l’Italia. Andarsene significa mollarla al suo destino, spingerla alla deriva.
Però a stare qui faremmo la fine della Costa Concordia: a forza di fare inchini ce lo prenderemo nel sedere.
Naturalmente niente da eccepire, la cosa può anche avere una côté piacevole...
Massimo Minini massimo@galleriaminini.it


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