sabato 23 febbraio 2013

In principio era urlo


Il principio del linguaggio dell'arte è il grido, il grido era bidimensionale, era rabbia e anche speranza, speranza attiva, di cambiare, il grido come rifiuto attivo diventa fare, lo implica, Il fare è negazione pratica, trascende, è un fare per negare.
Basarsi sul fare è, semplicemente vedere il mondo come una lotta.
Esiste una comunità del fare, una collettività di coloro che fanno, un flusso del fare attraverso il tempo e lo spazio, di fare passato che si converte nel presente, questo anche quando tutto sembra individuale. I fare dei linguaggi dell'arte sono così intrecciati che è impossibile dire dove termina uno e inizia un altro, l'intreccio delle nostre vite è un fare collettivo, un riconoscimento dell'altro come soggetto attivo, una conferma sociale che parte dal riconoscimento del flusso sociale.


Il sistema di mercato dei linguaggi artistici opera forte della dominazione assoluta della forma sul contenuto.
Dove bisogna allora cercare il flusso sociale dei linguaggi dell'arte? 
Il potere fare esiste nella forma di chi lo nega, è il substrato materiale della negazione.
La grande e inevitabile sfida, degli artisti realmente e utopicamente comunisti di questo millennio è di favorire un sistema di ricerca artistica libero dalle relazioni di potere attraverso la dissoluzione del potere.
In altre parole dal punto di vista linguistico dell'arte, quello che ci affascina dell'artista di potere, che narra in maniera contraffatta e ambigua il valore del capitale, è che aiuta a definire il linguaggio della realtà dell'artista negato, dell'anti potere, della realtà del negato e non visto.


                                                 Bola Ecua, "The judge", Nigeria 2000

Bisogna constatare che i diversi linguaggi artistici vengono concepiti e nascono non in un vuoto libero dal potere, il sistema socio economico dell'arte è attraversato dal potere, di cui l'artista è il suo prodotto, il potere che costituisce comunque il linguaggio dell'arte è l'antagonismo che caratterizza i linguaggi dell'arte tutti, profondamente e inevitabilmente.

Impossibile, se si analizzano i linguaggi dell'arte, oggettivare il mondo, impossibile dire "il mondo è" o "io sono". La prospettiva del fare è di movimento, il mio mondo è e non è, io sono e non sono; nel fare si va oltre se stessi.
 L'artista soffre quando il fare si sottomette a quello che viene fatto e si deve fare, il movimento si interrompe e la forma di se stessi diviene nella sua stasi immobile incoerente.
Un artista perde valore davanti alle sue aspettative quando il suo linguaggio comincia ad avere un prezzo, diventa un treno che si muove velocemente su rotaie prestabilite, non è più il proprio tempo ma lancette di un orologio.
L'esistenza di un artista resta schiacciata dalla sua costituzione formale, identità durevole e struttura linguistica apparentemente autonoma. L'artista schiacciato dal suo linguaggio si ritrova costretto ad ignorare per determinarsi, affermando "le cose sono così", la sua forma gli impedisce l'alternativa radicale.

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