lunedì 26 agosto 2013

CHI HA IL MONOPOLIO DEL PENSIERO CRITICO?

CHI HA IL MONOPOLIO DEL PENSIERO CRITICO? 

L'arte non può ignorare le condizioni politiche del mondo in cui si genera, non può ignorare domande sociali e azioni egemoniche, è costretta a incrociare il mondo contemporaneo e i suoi linguaggi strutturali.
 L'arte e i suoi linguaggi sondano la conoscenza del mondo che la circoscrive e questo la rende sempre e comunque sociale.
 L'artista è impegnato (anche nel senso professionale del termine) quando con il suo linguaggio sa di dovere dare di conto di un dialogo che ha il dovere d'instaurare sul campo, con chi l'osserva; deve sapere sfuggire al "non dialogo" che attraversa il sistema dell'arte per mezzo l'intermediazione degli "addetti ai lavori", un dialogo artistico è liberale quando l'osservatore gode degli stessi diritti di chi gli somministra una immagine, questo solo costringe all'accordo e alla comunanza simbolica.
 Un altro sistema dell'arte presuppone  la condivisione etica di segni e simboli, ma come in tutte le lingue il linguaggio del gesto artistico ha degli spazi d'intraducibilità ed è proprio quello lo spazio dello scambio sul campo e sul territorio, il motore che trasmette il linguaggio dell'arte.
Occorre che gli artisti dell'altro sistema che verrà si pongano domande come:

CHI HA IL MONOPOLIO DEL PENSIERO CRITICO? L'artista, gli "addetti ai lavori" o gli altri, i subalterni che di arte parlano e che lavorano per comprenderla?

I "subalterni" di sistema, siano artisti o osservatori parlano e trasmettano informazioni sulle pratiche artistiche, s'interessano di pratiche connettive che in quest'altro sistema dell'arte ci si sforza di praticare, tutto questo non vuole dire ragionare su dei linguaggi dell'arte "locali", ma pensare al locale come luogo di elaborazione di linguaggi simbolici singoli, identitari ma anche universali, in quanto frutto di una mutazione e interazione continua verso la globalizzazione.
La vera questione contemporanea è quella di evitare la ghettizzazione dell'arte o dell'artista locale e considerare il linguaggio dell'arte relazionale e universale in qualsiasi spazio e contesto avvenga, questo passaggio serve a rappresentare il linguaggio dell'arte non come un sapere detenuto ma situato e condiviso, serve cominciare a leggere l'arte come una tensione affettiva e relazionale che muove strutture, solo con questo passaggio è possibile riconsegnare l'arte alla vita.
Veicolo di trasmissione di questo non può che essere il web, con le sue autoproduzioni, social network e blog, che trasformano le immagini in modalità didattiche di nuovi processi operativi e linguistici.
I nuovi media integrati aiutano l'artista a dare di contro tra ciò che avviene tra lui e il mondo, dei soggetti che incontra, degli scambi e dei risultati di questa sua interconnessione permanente, scambia dati, visioni, prospetti, mediazioni e moduli strutturali e cognitivi e tutto questo diventa auto-produzione; questo non porterà mai a un linguaggio neutro ma interattivo se sa trasformarsi e trasformare nell'incontro, l'artista rinuncia in questo processo alla pretesa visionaria di essere l'unico osservatore del reale ma diventa reale in quanto osservato, non prende romanticamente il posto e la parola dei subalterni, non parla a loro nome e non abusa del loro nome, è un professionista del suo linguaggio che esiste perché osservato.




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