martedì 27 agosto 2013

Questo è il tempo della trasformazione del linguaggio dell'arte.


Questo è il tempo della trasformazione del linguaggio dell'arte.

L'attività di un artista è sempre finzionale, c'è sempre un diaframma tra il linguaggio di un artista e ciò che rappresenta e tra ciò che rappresenta e il rappresentato; non esiste linguaggio dell'arte che non sia intenzione finzionale, anche quando si dichiara la finzione rappresentata, finzione intenzionale è anche il tentativo etico di tradurre in estetica una rappresentazione condivisa di una realtà osservata.
 Il linguaggio di un artista è sempre, oltre che finzionale, di parte, parziale e p-artigiano, questi è il motivo per cui necessitano aree di libero scambio del linguaggio artistico fuori e dentro il web, arena nella quale può nascere una struttura semantica, consapevole e contemporanea del linguaggio di un artista, con la relativa costruzione di modelli simbolici interpretativi che indaghino e stimolino funzioni e rappresentazioni sulla condizione umana; padroni del gesto e del segno artistico si è quando si hanno gli strumenti cognitivi per leggere la distanza con l'osservatore, simile o diverso che sia, questo solo crea reale dialettica tra l'artista osservato e l'altro che osserva e che può esprimersi anche esso dialetticamente con linguaggi specifici dell'arte.
 Alla base di tutto c'è comunque l'artista, che con il suo linguaggio dichiara e ammette la sua soggettività e anche la sua non universalità, questa è la base dalla quale sonda e riflette; la sua passione per la propria ricerca non dovrebbe mai sostituirsi all'etica personale, quell'etica che porta a decidere come e per chi schierare il proprio linguaggio.
Il concetto di linguaggio condiviso dell'arte contemporanea è ancora lontano dall'essere sostenuto con cognizione di causa dalla gran parte degli stessi artisti, tant'è vero che linguaggi e stili dominanti dei processi di trasmissione dell'arte contemporanea restano unidirezionati e imposti a catena dai mercati, tramite i soliti noti intermediari "addetti ai lavori"che osservano i processi dell'arte contemporanea pure essendone estranei per formazione e esercizio professionale del fare.
Il sapere globale dell'arte contemporanea cominciato con la rivoluzione industriale, è ancora oggi tristemente trasmesso in maniera asimmetrica, trasmesso e imposto da centri di mercato e case d'aste alle periferie (da Parigi a New York, da Londra a Tokyo, da Basel a Venezia, gusti e linguaggi arrivano in periferie, talvolta con gli stessi eroici artisti locali a fare da media del linguaggio che muta), ma siamo in un tempo che pone gli artisti davanti la possibilità di autodeterminazione di una vocazione di costruzione linguistica connettiva e cooperata, la frontiera del possibile è quella di una conquista di un linguaggio dell'arte altro al servizio del comune e basato sul condiviso e la conoscenza reciproca tra gli artisti, senza filtri e intermediari.
Questo è il tempo dell'andirivieni continuo dei linguaggi dell'arte, di un flusso di movimenti interconnessi che non si può interrompere, a nulla servono scuole critiche di matrice Accademica, possono solo tracciare visioni parziali fondate su idee di recuperi ideali di questo o quello stile, legati a questa o quella scuola, legata a questo o a quel maestro, in pratica inutili dispersioni del tempo funzionali solo alla sua frammentazione; questo è il tempo del linguaggio transidentitario che trasforma sincronicamente gli artisti e anche gli osservatori.
Questo non è il tempo di un linguaggio dell'arte ma di linguaggi in movimento che risuonano in altri linguaggi e stili, questo è il tempo della trasformazione del linguaggio dell'arte.
Davanti agli artisti oggi c'è una reale e possibile universalità dialettica e interconnessa dei linguaggi dell'arte, che non è immutabile e imposta, ma è in divenire e non è conseguita, è da costruire in maniera dinamica e permanente da parte degli artisti che lo vorranno, gli altri faranno i conti davanti al giudizio della storia.
 Questo è il tempo, come l'inizio del secolo scorso sulla scia della rivoluzione industriale per le avanguardie artistiche storiche, del linguaggio artistico realmente creativo e culturale, si può inventare, costruire e formare una nuova identità sociale dell'artista, dove il ruolo attivo sul suo linguaggio è costruito da territori locali attraversati da venti diversi interconnessi dal mercato globale.
Questo è il tempo di un linguaggio dell'arte indigeno, articolato, riscritto nella semantica, domestico, connivente, improvvisato e inventato in un contesto spaziale etereo realmente culturale.
La vitalità dei linguaggi dell'arte oggi è nell'immaginario collettivo, nella rapidità della comunicazione che fa circolare immagini, ricerche, oggetti e artisti, artisti che in prima persona diventano ancore culturali di una diffusione fatta di prestiti e scambi, questa è la diversificazione senza precedenti dei linguaggi dell'arte.
La sfida da porsi è politica, l'artista deve muoversi e orientarsi all'interno di questo flusso connettivo non ancora distribuito e compreso e saperlo essenzializzare nelle forme e espressioni culturali, sapere sintetizzare l'insieme di processi anche conflittuali di adozione, ridefinizione, costruzione e semantizzazione di simboli, pratiche performatiche e prodotti che non possono più essere conducibili a un unica cultura, ma che si muovono e spostano di continuo tra una pratica e un linguaggio dell'arte all'altro.
Questo processo di sintesi da rimandare all'artista e al suo linguaggio ci consegna una equazione per la quale l'etica estetica del suo linguaggio dovrebbe stare alla sua morale (pubblica e pubblicata) quanto e come la sua ricerca sta al suo sapere.
L'arte deve aprire nuove traiettorie di conoscenza a partire dal conosciuto, rendersi irriducibile liberando prospettive, questa è l'etica a cui tendere, discutere regole cui si è assuefatti perché imposte e interiorizzate accademicamente senza consapevolezza, una estetica etica del linguaggio in grado di partire dal dire e non dal detto o ha detto.


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