martedì 10 settembre 2013

Deus ex machina


Il mondo è pieno di macchine, con le quali interagiamo. Macchine che captano la nostra volontà, che la interpretano, che compiono un gesto per noi fino in fondo, quando a noi spetta solo il compito di iniziarlo. Vogliamo passare attraverso una porta, ci accostiamo, e la porta automatica si apre. Queste macchine completano l’azione. Sono fatte per far sì che io deleghi ad una macchina parte di quello che avrei voluto fare io. Ricordarmi il compleanno di qualcuno: ci pensa Facebook. Dunque, parte della mia mente non è solo più nella mia scatola cranica, ma fuori di essa. La mente ora è espansa. Esistono poi macchine che richiedono una chiave, per fare qualcosa. Sono dormienti, e ad un certo input preciso rispondono in qualche modo. Il numero di cellulare del mio migliore amico, lo digito e la macchina compone il numero. La password della mia casella di posta. Queste macchine verificano che io sia io, cioè è delegato a loro il mio riconoscimento, parte della mia identità. Aspettano me, mi riconoscono e completano l’azione, oppure mi danno informazioni, solo se io attivo quella certa parte di me fuori di me. Sarebbe riduttivo dire che io sono solo contenuto dalla mia pelle. Sono molto fuori, in luoghi che nemmeno so.

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