venerdì 12 dicembre 2014

LA MADRE DELL’EVERSIONE di G Angelo Billia

LA MADRE DELL’EVERSIONE  di G Angelo Billia

“L’antipolitica è eversiva, bisogna colpire i corrotti, ma combattere l’antipolitica”. Afferma all’incirca Napolitano.
Si possono dare molte definizioni della politica e tutte fondamentalmente corrette. 

Era politica quella che la monarchia esercitava per affermare il proprio dominio, lo era quella del ventennio, quella dei padri costituenti della repubblica democratica e lo è quella di una masnada di faccendieri che gestiscono il potere, per conto terzi, nella maniera più confacente alla loro natura e a quella dei loro committenti, cioè quella borghesia riverniciata, che fa capo a gruppi imprenditoriali, spesso sovranazionali, a gruppi speculativi ad essi collegati e alle banche, autentico crocevia dei loro variegati interessi.
Stando così le cose, bisogna pensare che, Napolitano si rifaccia ad una definizione tanto generale quanto generica della politica?
Si potrebbe, ma se parla d’eversione qualcosa non torna.
Per limitarsi agli ultimi anni, quelli in cui, finalmente, la politica migliorista, tanto cara al Presidente, è entrata nella fase di concretizzazione definitiva, è sufficiente ricordare Monti, l’impiegato modello dei banchieri europei trasformato in un batter di ciglia in Senatore a vita e Presidente del consiglio.
Ma non bastava, il lavoro sporco svolto dal bocconiano aveva bisogno di essere proseguito, oltre che nel paese rapinando al popolo lavoratore tutto il rapinabile, anche a livello istituzionale, per rendere le istituzioni stesse adeguate, anche formalmente, alla macelleria sociale necessaria ai nuovi assetti interni ed internazionali della borghesia.
Ecco quindi il chierichetto fiorentino, anch’egli mai eletto in Parlamento, sostituire con l’eloquio fluente degli imbonitori da fiera, l’arcigno professore.
L’operazione patrocinata dal Presidente, diviene cristallina se si considera che avviene con l’ausilio di un Parlamento il quale, in quanto composto da nominati, ha cessato di essere quello della Repubblica per caratterizzarsi come luogo d’incontro di dipendenti privati pagati con denaro pubblico.
Ma l’autentica chicca è costituita dal fatto che quest’accozzaglia indefinibile è al lavoro sotto l’alto patrocinio di Napolitano stesso, per modificare non solo le leggi ordinarie, bensì la stessa Costituzione. Si noti bene che, il Presidente ha la “decenza” di non dire mai che il Parlamento è esautorato dal Governo per l’infinito ricorso ai voti di fiducia e ai decreti.
Intanto, di quando in quando, si scopre che cotanta “politica” si esprime anche con la corruzione.

 Mafia capitale è solo l’ultima finestra su un cortile nazionale dove le bande “politiche” dettano la loro legge, dando una vigorosa mano alla spoliazione del paese con un intreccio inestricabile fra politica e mondo degli affari. 
Guardando con un minimo di buonsenso ciò che accade anche nelle più minute realtà territoriali, ci si rende conto che mafia capitale è, banalmente, il sistema paese, com’è stato costruito dalla politica dominante.
Vale appena la pena di ricordare, quand’anche la purulenza del bubbone sia tale da forzare finalmente i dipendenti che stanno in Parlamento, che nessuna legge, per la parte punitiva può essere retroattiva e che, comunque, la legge non è uguale per tutti.
Queste sono alcune delle ragioni che rendono evidente l’obiettivo degli strali presidenziali, non ridare centralità e legalità costituzionale al Parlamento, ma puramente e semplicemente far accettare come normale e non eversivo il regime che con tanta cura ha contribuito a costruire.
In queste condizioni è fuori discussione che i parametri della politica a cui eravamo abituati sono saltati. L’opposizione, consistente in un barcamenarsi in cambio di qualche risultato, che non modifica il quadro generale, mostra sempre più la sua natura d’espediente di bassa lega per garantirsi un posto al sole. 

I tempi sono maturi per un’opposizione a tutto campo, che non può essere disgiunta, mai, dalla prospettiva di una società diversa, radicalmente alternativa agli interessi tanto cari al pluripresidente e ai suoi rappresentati.



Domando se questa poesia è fuori tempo, superata, obsoleta.
Personalmente l’ho sempre in mente.
La ricordo quando assisto agli sfratti dei più deboli, nell’indifferenza di gran parte di quelli che la casa l’hanno ancora.
Quando vedo caricare i ragazzi dei centri sociali, nel silenzio dei ragazzi altrettanto senza futuro, ma molto sospettosi verso quelli che il regime definisce violenti;
assistendo al cinismo ignavo degli “spettatori”, quando il bersaglio sono zingari ed extracomunitari;
guardando alla tolleranza verso la violenza delle “sentinelle in piedi”, perché tanto è roba da matti e al massimo riguarda “solo” gli omosessuali;
osservando lo scempio delle istituzioni ad opera della nota banda e tutti gli “insigni costituzionalisti” della domenica voltarsi dall’altra parte, dopo qualche brontolio;
ascoltando le proteste dei lavoratori dell’ultima fabbrica che chiude, in ordine di tempo e il silenzio di chi dovrebbe solidarizzare lottando e non lo fa, fingendo di non sapere che, prima o poi toccherà anche a lui.
-Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
(Bertolt Brecht)


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