mercoledì 21 maggio 2014


Predazione, 2014
www.danieledenaro.com

lunedì 19 maggio 2014

Vacca e Fibra, quando il "selfie" si finge "dissing".


Vacca e Fibra, quando il "selfie" si finge "dissing".

"Fibra cosa ti aspettavi che ti dessimo un trofeo, dopo le dita che hai preso nel culo dalla carissima Lea di Leo?"
Vacca

Ragionavo su come la rivoluzione digitale e virtuale che stiamo vivendo, stia mutando in maniera epocale non solo i nostri usi, costumi e consumi sociali; ma anche e principalmente i linguaggi dell'arte e le sue culture.
Lo si voglia o no, c'è una differenza linguistica evidente tra i linguaggi e i contenuti di questo secolo e quelli del secolo passato.
L'estetica del selfie e del suo individualismo esasperato e la socializzazione attraverso i social media, dove i contenuti di un messaggio fondono e confondono pubblico e privato, stanno immiserendo i linguaggi dell'arte, i contenuti estetici e le cause comuni stanno lasciando il posto ai regolamenti di conti privati.
Ragioniamo sul "dissing", nel secolo passato nasceva come forma di dissenso e disistima nei confronti di un artista, ma costituiva anche un "cavallo di troia" per discutere o argomentare i reali contenuti di artisti che si confrontavano, il linguaggio condiviso era un momento di crescita critica e di approfondimento personale; in questo secolo, il secolo dei selfie narcisi e forse patologicamente autoreferenziali e autistici più che artistici, uno scambio tra artisti sembra impossibilitato a valicare la soglia dell'insulto personale privato al limite della diffamazione e della calunnia; il dissing si registra e lo si pubblica on line sul tubo, in cerca della logica del consenso che passa per l'insulto facile, proprio come si trattasse di un reality show, una finzione calcolata che viralmente alimenta uno spettacolo che muove interessi e plagia coscienze insinuandosi viralmente nei neuroni a specchio di entità e coscienze in formazione.
La viralità dell'insulto, azzera la vitalità del linguaggio e della cultura hip hop, schiera i fan consumatori di un artista o con l'uno o con l'altro ("non puoi mettere mi piace alla pagina di Fabri Fibra e anche di Vacca", mi diceva un mio studente) e il linguaggio e la cultura della periferia che reclama politicamente i propri diritti regredisce all'accoltellamento verbale privato, questa è la tendenza del mercato che muta e questo è quello che il secolo passato aveva lavorato per evitare, nel giro di boa di un secolo ci si è trovati in venti anni a vedere un linguaggio artistico dei centri sociali e dei movimenti, ridotto miseramente a regolamento di conti e di beghe private tra artisti autodeterminati non come individui e identità sociali, ma come prodotti socioculturali e antropologici rivolti agli adolescenti, non è una involuzione da poco, chi sono i responsabili di questo se non gli artisti?
Questa del dissing fideizzato, sembra un investimento di mercato a lunga scadenza, i social network hanno già modificato il mercato e gli artisti inseguono la direzione sulla pelle-campione dell'adolescente "ribelle" per sua struttura biogenetica, tra un "selfie" e "un mi piace" viene portato a schierarsi con l'uno o con l'altro,  investendo per un ventennio di mercato futuro con una logica di contenuti anti social tipici dell'estetica bidimensionale dei "social media".
Il dissing Vacca- Fabri Fibra, sembra un reale scontro tra due adolescenti, che ad amicizia virtuale o reale che sia,  spiato e indagato il profilo privato dell'ex amico, lo mettono in piazza per deriderlo,  ricorda una puntata di "Grande Fratello" o di "Amici" e i vari antitalent show spazzatura, dove si antepone la spettacolarizzazione mediatica sotto il sole dei riflettori allo studio e alla crescita individuale;  il pubblico consumatore vota da casa o clicca un "mi piace" schierandosi moralmente con un partecipante piuttosto che con un altro, una ipertrofia megalomane individualistica ( figlia della logica del "selfie") che alimenta l'ignoranza e azzera i contenuti della memoria di un linguaggio.


domenica 18 maggio 2014

TAVOR ART MOBIL AL MAAM IL 22 GIUGNO:

Invitati a intervenire al MAAM il museo dell'Altro e dell'Altrove di Metropoliz_città meticcia, abbiamo concepito il seguente processo/progetto/intervento, per il 22 Giugno:

Una serie di più di duecento elaborati 50 per 70 di tecnica mista a disposizione del pubblico, da ritirare e custodire nel proprio domicilio privato:

- Gli elaborati saranno non firmati, uno (l'ultimo da ritirare) sarà collocato al muro e gli altri saranno spari in giro o poggiati su di un tavolo.

- Liberamente gli spettatori, nella veste di pubblico e osservatore, che con il proprio sguardo e le proprie azione determinano il compimento del gesto e dell'azione artistica, si potranno avvicinare al banco e prelevare una quantità a piacimento dei lavori a patto che prima li firmino, rendendole opere "firmate" da loro (pubblico) al ritiro.

- Una volta firmata e ritirata l'opera, questa verrà autenticata dal MAAM mediante fotografia digitale con firmatario del ritiro ed opera ritirata dal mercato imposto pubblico privatizzato, da pubblicare on line tramite social media.


OBIETTIVO:

L'azione mira a negare la firma d'artista nell'attribuzione di valore e di senso di cifra linguistica in un azione artistica contemporanea e attraverso il MAAM, alla formazione e alla determinazione, di private e abusive collezione d'arte contemporanea direttamente a domicilio del visitatore del MAAM, tante piccole sezioni domestiche del MAAM distaccate, determinate dal pubblico e dagli artisti che animano il MAAM.

Domenico "Mimmo" Di Caterino e Barbara Ardau.


Selfie center!


Selfie center:



Stiamo vivendo una rivoluzione dei linguaggi dell'arte cui la specie si sta adattando senza la possibilità di essere accompagnata dall'insegnamento della generazione che la precede.
L'interconnessione digitale, la bulimia dell'immagine di sé autoprodotta che gira e si riproduce via web è una novità assoluta per la condizione umana, questo è il motivo per quale ragiono molto sul selfie e le sue implicazioni sociali, politiche, comportamentali ed economiche.
L'autostima nell'epoca dei social network e dei selfie scricchiola o si ipertrofizza?
Come reagisce il nostro organismo in mutazione permanente davanti all'immagine di sé quando il fotoricco non riesce a colmare le insicurezze e le incertezze in relazione alla propria immagine?
Secondo l'Accademia Americana di plastica facciale e di chirurgia ricostruttiva, il numero degli interventi estetici sarebbe in aumento, impazzano on line Ken e Barbie reali costruiti a immagine e somiglianza dei loro selfie fatti modello estetico.
Tutto ciò muove da una società umana in mutazione permanente, dove siamo ossessionati dall'aspetto esteriore e dalla nostra immagine concepita per essere prodotta all'infinito tra le tante del bulimico menù dell'iperconnessa società dell'immagine.
L'accostamento tra un "mi piace" in più e gli interventi di chirurgia plastica che ci rendono sempre più conformi alla linea non è da sottovalutare, è nei numeri, nel 2013 gli interventi chirurgici e plastici degli interconnessi che ancora non hanno trent'anni, sono aumentati del dieci per cento.
Trapianti di capelli? In aumento del sette per cento.
Rimodellamento delle palpebre? Più sei per cento.
Ma gli effetti collaterali del selfie non terminano; la nostra immagine cover, il nostro avatar, il nostro selfie è in molti casi, l'unica immagine di noi al mondo, datore di lavoro possibile compreso.
Sembra addirittura che il novantaquattro per cento di aziende in cerca di personale (percentuale altissima), utilizza i social network per cercare nuovi collaboratori; il settantotto per cento delle società specializzate nella selezione del personale, assume dipendenti dopo avere visonato i propri profili sui social media più diffusi.
In altre parole, per l'immagine amatoriale di noi stessi non c'è più spazio ed è destinata a scomparire, i nostri selfie determinano il nostro lavoro, il nostro mercato e la nostra vita.
Pollice verso per questa incredibile mutazione della specie umana in atto, dettata dal mercato delle vite umane? Certo è che se dovessimo scegliere tra costruire piramidi sotto il sole o essere schiavi della nostra immagine, difficilmente si rinuncerebbe al proprio smartphone!


domenica 11 maggio 2014

T.A.M. Cagliari nr.15


“Existential Travels” di Lucilla Esce, Guroga, Ina Ripari, Enzo Correnti, Priamo Pinna, Accademia Nomade (Geremia Renzi e Lucia Rosarno), Pierpaolo Mameli, Walter Santoni, Ivano Marchionne, Paolo Cervino, Giorgio Costantino e Di Fonzo Gerardo. 

sabato 10 maggio 2014

Pierpaolo Mameli per la Tavor Art Mobil.


T. Art M. – Tam Tam Cagliari  nr.15

http://youtu.be/8QrFJQpaf9I

 “Existential Travels” di Lucilla Esce, Guroga, Ina Ripari, Enzo Correnti, Priamo Pinna, Accademia Nomade (Geremia Renzi e Lucia Rosarno), Pierpaolo Mameli, Walter Santoni, Ivano Marchionne, Paolo Cervino, Giorgio Costantino e Di Fonzo Gerardo.

lunedì 5 maggio 2014

Io, tu e il "fake di sistema" Luca Rossi.


Mimmo:
Sei il Matteo Renzi del sistema dell'arte Italia.

Luca Rossi:
mi dicevano che ero il Beppe Grillo/Travaglio...#bastachevimettetedaccordo

Mimmo:
...si potresti essere anche Travaglio, in ogni modo al servizio del mercato.

Luca:
siamo tutti dentro al mercato dagli anni 50, ma questo ci permette anche livelli di benessere non indifferenti. Per esempio, nel tuo profilo stai sempre a magnà! 

Mimmo:
Riveli al solito tutta la tua ignoranza nella possibilità di comprensione di questo tempo, mangio tre volte al giorno, come nel bene o nel male si è sempre fatto nella nostra nazione, smartphone e interconnessione via social network permettono in ogni momento di elevare la quotidianità a icona del vissuto, cosa che nel tuo lavoro manca, il tuo lavoro non ha nulla a che vedere con la ricerca del senso di arte e vita, ma è solo una sterile legittimazione sotto forma di critica del sistema dell'arte, questo ti rende un conservatore accademico, non trovi? Sostieni che questo è il tempo dove il pubblico ha la necessità di entrare dentro le cose e che il sistema non è in grado di rispondere a questa esigenza, ma tu lo fai? Entri dentro alle cose? A momenti pur di parlare d'arte ti vergogni anche di cosa mangi o bevi...
Puntualizzato questo: quando la smetti di scrivere cavolate sull'arte autoreferenziali? Chi cazzo è Gioni? Perché perdere tempo a ragionare su di lui?
Scattati un selfie e facci entrare nel tuo di sistema, ma realmente, e possibilmente evita di cercare consenso attraverso la viralità di immagini altrui, forse non ne sei consapevole, ma in questa maniera ti proponi come dominato.

Luca:
Quello che scrivi non è vero, leggi Whitehouse con più attenzione.

Mimmo:
Whitehouse è illeggibile, come tutta la tua operazione artistica, non ha senso alcuno se non ritagliarsi uno spazio interlocutorio all'interno del sistema, questo è il tuo/vostro limite più grosso. Sarebbe più interessante dichiararvi, mostrarvi, rendervi visibili, solo a quel punto potrei rivedere il mio giudizio sulla nullità, anche mediatica, della vostra operazione.
Luca, cercherò di essere più chiaro, i tuoi rumors, non servono a un cazzo e non hanno nessun motivo d'interesse per me, perché non mutano niente e perché dietro la tua critica progetto non esistono persone fisiche, do you understand?

Luca:
 Dietro a Whitehouse ci sono persone vere, e io non sono anonimo per nulla. 

La recensione critica serve eccome, per allenare a fare le differenze. L'unica cosa che conta oggi!

Mimmo:
Va bene, mi dici il tuo nome e cognome Sr.Bansky di periferia?

Luca:
Luca Rossi .... Un nome come il tuo.

Mimmo:
ahahahhahahhahahhahah, capisci cosa intendo quando dico che al di la di contenuti sterili dettati da una voglia di visibilità da rivendicare non c'è niente altro? Il Nulla assoluto, se non una legittimazione permanente di un sistema che si finge di criticare, si traghetta un poco di pubblico e di click su artribune e il gioco è fatto, che miseria di condizione umana e artistica.
Mettiamola così, il mio nome ha un codice fiscale, che fa si che io mi assuma la responsabilità di tutto ciò che faccio e dico, il tuo non mi sembra proprio e questo sr.Matteo Bansky di periferia ti rende solo un traghettatore di click su nomi, persone e situazioni sui quali i riflettori sono già spenti da un pezzo, ma forse non riesci a comprenderlo proprio...

Luca:
 Io sono totalmente indipendente, tanto che sia tu che Gioni non mi volete. Chiaramente io sono Topolino, e poi c'è il mio autore. Ma tu evidentemente devi ancora capire Topolino e stai lí a chiedere il codice fiscale a Topolino....pensa come sei messo!!!

Mimmo:
Bha, uno totalmente indipendente non dovrebbe dipendere così tanto dall'informazione specializzata e dagli addetti ai lavori, per inciso ho anche ospitato il tuo lavoro (?) nella Tavor Art Mobil, per cui nessun pregiudizio, detto questo Topolino ha un autore che aveva un cf di nome Walt Disney è questo quello a cui miri signor Topolino a fare impresa per il tuo autore e vendere le tue t-shirt? Cazzo, bella idea d'indipendenza, tu ti rendi conto di come sei messo? Non averne a male, la critica e il suo esercizio servono proprio a puntualizzare i distinguo signor Matteo Micky Bansky.
Mettiamola così, il tuo autore si chiama signor Tonelli? Qualcuno potrebbe pensarlo, sai che a suo tempo mi ha diffidato dandomi del camorrista, detto questo, conta fino a dieci prima di affermare chi non vuole chi!
L'intelligenza si vende, si compra e si svende, quella di Luca Rossi è sul mercato, altrimenti non avrebbe nessun problema a manifestarsi, così appare una intelligenza editoriale sotto mentite spoglie...
 Ribadisco che il progetto Luca Rossi è tipicamente italiano, come Matteo Renzi, perché riconosce il dominio del mercato, come tutti i riconoscimenti del dominio presuppone conoscenza e intelligenza, questo non significa in alcun modo che sia voce di coscienza etica ed estetica, la sua prospettiva è intellettualistica, accademica e scolastica, una rivoluzione di una rappresentazione di sistema non può ridursi a semplice conversione di coscienze e volontà sotto una etichetta collettiva. Sarebbe il fondamento della violenza iconica e simbolica che risiede in tutte le coscienze e l'estetiche mistificate, dispositivi retorici adatti a strutture e sistemi di dominio di cui sono il prodotto. Luca Rossi, in maniera inconsapevole perpetua nella trasformazione di una struttura di cui è prodotto e delle sue disposizioni, si muove in un mercato di simbolismi dove la legge fondamentale vuole l'artista come un oggetto merce che circola dal basso verso l'alto. Chiaro? O il fatto che siamo in Italia mi impedisce di segnalare i limiti di tutta l'operazione di pulcinella?

Luca:
Chiunque è nel sistema e io dialogo con tutti, i contenuti sono la cosa più importante. Il mercato è importante e ci siamo tutti dentro dagli anni 50. Io mi batto da 5 anni per un mercato sano!

Mimmo:
Luca, fammi capire nella pratica come ti batteresti per un mercato sano? Con i tuoi controhappening organizzati a biennali e fiere dell'arte varie o in gallerie dalla programmazione giovane? Ma per piacere vuoi fare la persona seria?
 Se tutto rimanesse a livello di blog, con una reale materializzazione di un altro sistema, con te che firmi con il tuo nome invece che Topolono per la Walt Disney, potrei anche crederti, ma tutto e dico TUTTO, del tuo progetto fa pensare ad altro, un blogger che tratta il suo reale seguito come pecoroni non è il massimo per il web, forse dovevi studiare meglio le logiche del web prima di affrontarle, insomma non ti puoi lamentare se la tua "pagnotta" alla fine ha per te il prezzo di chi ti da del supercazzarolo all'arrembaggio!

Luca:
Il mercato sano si ottiene stimolando un confronto per fare le differenze. Se uno mi chiede 1000 euro per una mela, cerco di capire perchè. Argomentando la mia visione delle cose (mela, intenzioni di chi me la dà, contesto). Diversamente abbiamo una sorta di caso p ART malat. Chi tratto come pecoroni? Il blog è un blocco di appunti, mi potrebbe anche seguire nessuno e andrei avanti lo stesso.  In questi 5 anni il blog ha avuto tre anime spontanee: critica, progettualità, nuovo rapporto con il pubblico attraverso un progetto che si tiene in alcune città, ma non nei musei. Ma ovviamente io e pochi collaboratori siamo una goccia nel mare. E siamo osteggiati con sistema buono e con quelli che vorrebbero entrare nel sistema. Questi ultimi forse sono i peggiori perchè hanno paura che Fantozzi (il Sig. Rossi) riesca a entrare nelle grazie del Mega Direttore Galattico. Ripeto, l'anonimato è stato un modo per partire da zero. Se ci fosse un buon motivo mi presenterei di persone ovunque. Non si tratta di cercare la verità (sarebbe noioso e ingenuo) ma argomentare per avvicinarsi (senza mai arrivarci) ad una lettura oggettiva. E questo è possibile ECCOME!!!

Mimmo:
Troppo ridicolo il signor Rossi, impossibile da prendere sul serio in tutte le sue analisi, insomma il mercato è fatto dalle case d'aste e lui parte dalle gallerie evitando i musei. Cavolo cosa non si fa per la pagnotta. L'anonimato ti aiuta nella diplomatica conquista della pagnotta, Wu Ming insegna. Luca non fingere di essere Fantozzi, tu sei filini. Sei già nelle grazie di Tonelli e politi, per questo sparì sempre a altezza uomo e mai in alto.

Luca:
 La lettura dell'arte non può essere oggettiva ma può tendere all'oggettività. Se non leggete bene diventa difficile. Io non devo divertire, ma vorrei agire da innesco e stimolo del confronto. Ma mi rapporto con un deserto fatto solo da addetti ai lavori. Per tanto cerchiamo anche di formare e stimolare un pubblico che oggi non esiste. Io parto dalla lettura delle opere, non mi occupo di case d'aste.  Io non sparo su nessuno. Ma cerco di argomentare, ma questo in Italia non è comprensibile, perchè siamo cresciuti con la mentalità di Porta a Porta, anche quelli nati prima di Porta a Porta. La critica non c'è e il pubblico nemmeno. Alle mostre ci vanno solo: addetti ai lavori, collezionisti, curiosi, amici dei primi gruppi, turisti. Dove sta la critica?????????????????????? Vedo solo recesnioni come sviluppi di comunicati stampa. Ma mi faccia il piacere!!!!! In biblioteca ci sono i topi! Io voglio la critica nelle piazze!!!!

Mimmo:
Ci sei tu luca, meno male.

Luca:
 Io non so neanche se sono in grado di fare critica, cerco di stimolare e innescare più che altro. Ma è una sorta di accanimento terapeutico su un cadavere.

Mimmo:
Ma la critica a che cazzo serve se il mercato detta la linea? Ma ti rendi conto delle cose che scrivi?

Luca:
Il mercato è fatto da visioni critiche, per quanto sballate. io non trovo il mercato alto dell'arte sballato. I crimini si commettono per i mid career e i giovani. Che sono i grandi potenziali di domani. Per questo è importante la critica
soprattutto su questi.

Mimmo:
La critica si allinea al mercato, ma dove hai studiato?

Luca:
Io penso che si debba partire dall'opera e non da tutto il rumore intorno. Anche per appassionare e interessare il pubblico. Ok, e il mercato chi lo decide?

Mimmo:
Le case d'asta internazionali, ma devo farti una lezione?

Luca: Ok, sicuramente influenzano. Ma verranno imbeccati da qualcuno? E in ogni caso si può dimostrare la stupidità di certe scelte.....su questo lavoriamo tantissimo. E' chiaro che siamo una goccia nel mare. A mio parere il mercato è il risultato di tanti fattori, tra cui anche le case d'aste. Cosa c'è di male?

Mimmo:
Ma possibile che non si facciano ragionamenti che partano da gallerie internazionali, case d'aste e crediti bancari, gli addetti ai lavori, critici e collezionisti, fanno sistema sulla scia di questo, la loro intermediazione è una presa d'atto che materializza per loro qualche spicciolo, questo è il vero piano di Luca Filini, sbaglio ragioniere?

Luca:
A me interessa ripartire dalla lettura delle opere. La tua impostazione è datata. 

Mimmo:
 La mia posizione sarà anche datata, ma la tua è macroscopicamente paracula, guerrigliero da salotto. Peggio dell'Ikea, in luca filini manca anche il prodotto, anche quello critico, è tutto copia e incolla contemporaneo.

Luca:
Ho appena curato una mostra con solo cose prese all'ikea. Il punto è la consapevolezza tra intenzioni opera e contesto. Non c'è arte giusta e arte sbagliata.

Mimmo:
Il tuo contesto è un contesto conservatore, per questo nella mia rappresentazione di ricerca artistica ti meriti l'etichetta di Luca Renzi.

Luca:
Il punto è la consapevolezza tra intenzioni opera e contesto. Non c'è arte giusta e arte sbagliata. Dire conservatore non significa nulla. Dipende rispetto a chi.

Mimmo:
Rispetto a me, ovvio che i ragionamenti sull'arte sono fatti di punti di vista, il tuo contesto è quello degli "addetti ai lavori", altrimenti non si spiegherebbe la tua ingenua richiesta di una critica responsabile, quasi come se tu non conoscessi il mercato della critica, nel quale ovviamente miri a collocarti in una maniera pseudo conflittuale che di conflittuale non ha un cazzo, insomma un moderato, un democristiano dell'arte o se la vuoi dire alla fighetto ikea, un neoconservatore, ancora non è chiaro? Un colletto bianco!  Immagino tu sappia che pubblicherò queste mie considerazioni su di te, per amor "critico"!


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Mimmo:Chi è Luca Rossi? Continuerò a fingere di non saperlo, ma dimmelo...

Anonimo informatore: Un certo Morsiani. Ma non dire che te l'ho detto io.

Mimmo: ..e chi è?

Anonimo: Un artista.

Mimmo: Mai sentito, senza questa montatura di Luca Rossi, non se l'inculerebbe nessuno...

Anonimo: Se guardi su internet Luca rossi + Morsiani lo trovi.

Mimmo: Ok, m'informo.

Anonimo: Infatti con sta trovata si è fatto un nome per così dire. Anche se non è il suo. Alla fine è un povero cristo come tanti che cerca il suo pane quotidiano.

Mimmo: Come fai a essere sicuro che sia lui?

Anonimo: Sicuro al 100% no, ma c'entra , probabilmente sono più di uno. Una specie di wu ming della critica da due soldi.

Mimmo: Anche io penso siano più di uno...

Anonimo: Uno da solo non può scrivere tante stronzate al giorno.

Mimmo: io ci riesco.

Anonimo: Comunque chiunque può diventare Luca rossi, pure tu.

Mimmo: Per piacere, già ci sono troppe stronzate in giro. il fine non giustifica il contenuto, se il sistema è indecente lo scriva come Morsiani, altrimenti è tutto di una meschinità schifosa...

Anonimo: Ma ci vuole coraggio a dire ciò che si pensa e lui non ne ha abbastanza.

Mimmo: ...e per questo lo voglio "semanticamente" impallinare, ci avevo già provato un paio di anni fa.

Anonimo: Tutti pensano che sia lui ma io non ci posso giurare. Rossi predica bene e razzola malissimo


È questo che aveva in mente Enrico Morsiani quando pensò a un “corso pratico di arte contemporanea“, rivolto a tutti: esperti, appassionati, profani. Niente di difficile, niente di elitario, un workshop che, con una terminologia tradizionale, potremmo definire “didattico”. Organizzata insieme a Whitehouse (alias Luca Rossi (alias Luca Rossi, il mister X della rete, che qualche maligno vorrebbe far coincidere con lo stesso Morsiani) e all’associazione bolognese RAM, l’iniziativa prova ad avvicinare un pubblico di non addetti ai lavori, restituendo l’arte contemporanea (quella del ‘900) nel suo coté più prossimo, più immediato. Come? Facendo un po’ di ginnastica. Visiva, mentale e spirituale, naturalmente. Dopo aver analizzato alcune opere  famose, insieme al personal art-trainer si passa ad alcuni esercizi individuali e di gruppo. Pratiche ginniche, forme d’allenamento: “Perchè l’arte è solo una palestra dove allenarsi in vista di quello che avviene (apparentemente) fuori dal contesto artistico”. Argomento della lezione: “Da Duchamp a Cattelan, vedere diversamente il proprio quotidiano”.

Gerardo Di Fonzo e Giorgio Costantino per la Tavor Art Mobil.



Giorgio Costantino


                                  Di Fonzo Gerardo




T. Art M. – Tam Tam Cagliari  nr.15


 “Existential Travels” di Lucilla Esce, Guroga, Ina Ripari, Enzo Correnti, Priamo Pinna, Accademia Nomade (Geremia Renzi e Lucia Rosarno), Walter Santoni, Ivano Marchionne, Paolo Cervino, Giorgio Costantino e Di Fonzo Gerardo.

sabato 3 maggio 2014

"Selfie" or Alive.



"Selfie" or Alive.


Ancora Selfie, rivoluzione dei linguaggi dell'arte insita nell'interconnessione e della comunicazione del sé attraverso smartphone.

La dipendenza dall'interconnessione che reclama la propria comunicazione, attraverso l'apparenza estetica della propria essenza, comincia a mietere vittime, il gesto artistico dell'autoritrarsi per condividere può portare alla morte ed essere più letale e pericoloso di body-performance estreme cui ci avevano abituato negli anni sessanta-settanta.

Mi direte: parli proprio tu che con i video selfie della Tavor Art Mobil, racconti l'arte contemporanea e mentre guidi ti videoriprendi mettendo a rischio non solo la tua incolumità ma anche quella degli altri in nome dell'arte?

Rispondo: Sì!

Vi racconto di Courtney Sanford, trentaduenne americana cui il selfie è costato la vita, immediatamente dopo il post su twitter, si è schiantata contro un camion per trovarsi ribaltata in un fosso.

Morta sul colpo, avvolta dalle fiamme della sua auto.

Secondi prima, il suo sorriso postato su Facebook accompagnato dalla didascalia "La canzone Happy mi fa felice".

Ma a proposito dell'ancestrale legame che lega il selfie alla morte, Eros e Thanatos si rincorrono amche nella storia di Erandy Elizabeth Gutierrez, finita in carcere per un omicidio, quello di Anael Baez (cavolo sembra che invece dei linguaggi dell'arte si stia parlando di gialli da "quarto grado" per questioni di audience), le due erano amiche del cuore, ma Anel Baez era colpevole di avere pubblicato via facebook dei sexy-selfie che ritraevono entrambe. Sessantacinque coltellate di vendetta, non erano gradite le foto selfie pubblicate. Le due adolescenti erano compagne di classedi un Liceo, il Dirigente scolastico ha dichiarato:

“Voglio dirvi che in questa comunità non siete soli - ha dichiarato in una di queste conferenze il preside messicano - Condividiamo il vostro dolore e la vostra rabbia. Faremo di tutto per superare questo momento amaro. L’unità in una famiglia è l’unica strada per preservare la pace, i valori, la tranquillità e per avere un mondo migliore”

Juan Eulogio War Liera

Questo in messico, spostiamoci a Londra, anche se la Geografia quando parliamo di linguaggi artistici interconnessi conta poco, ragioniamo su una immensa tribù che parla lo stesso codice e che può trovarsi ovunque:

La voglia di autorappresentazione interconnessa e la relativa dipendenza virale per alcuni vitale naviga addirittura verso la specializzazione di genere, i selfie alla guida, i sellotape, dove i ragazzi si coprono la faccia di nastro adesivo per deformare i propri mimici e oltre all'episodio di Courteney volevo farvi ragionare su Daniel Bowman, britannico che era arrivato a passare dieci ore al giorno facendosi selfie con il suo smartphone, insomma era il suo unico amico immaginario riflesso, un narciso autistico della comunicazione.

 “Ero sempre alla ricerca di prendere la selfie perfetta e quando ho capito che non ci sarei riuscito volevo morire. Ho perso i miei amici, la scuola, la mia salute e quasi la mia stessa vita”.
Daniel Bowman

Danny, non riuscendo a sconfiggere la sua forma di dipendenza è addirittura arrivato al tentato suicidio,  un’overdose da pillole, salvato dalla mamma in tempo.
Gli psichiatri, stanno cconsiderando la dipendenza da Selfie come un problema di salute mentale grave.
Dopo un percorso di riabilitazione psichiatrica, Danny non scatta selfie.

La morte, ma anche la vita, Eros e Thanatos, varianti del selfie sono i "Belfie", i selfie del lato b; gli "After sex" e i "Sex Selfie", una moltitudine di individui eccitati o post orgasmo in cerca dell'approvazione-condivisione Social.

In questo caso, i sessuologi non sono preoccupati verso il fenomeno, Eric Andersono, dell'Università di Winchester ha dichiarato:  

“I giovani sono probabilmente molto coinvolti nel sexselfie, dimostrazione che le tecnologie digitali stanno contribuendo a creare una società sessualmente più aperta”.

Adesso sul piatto della bilancia dell'autoritratto-selfie, come si fa a capire se il suo proliferarsi è riconducibile a un mutato comportamento sessuale del genere umano o a una cancrena mediatica e estetica che diventa psichica della stessa?
Lo scoprireremo solo vivendo ritraendoci e ritraendo?
Se l'arte è un linguaggio che serve a sondare la vita per sopravvivere alla stessa, la mia risposta è ancora una volta si.



Io, tu e Andrea Mura dei Balentia.

Vediamo un poco di raccontare una storia complicata, ma neanche troppo, 
come sapete il mio approccio con l'arte è sempre stato linguistico, ho sempre anteposto i processi insiti nei linguaggi dell'arte ai prodotti, forse è questo il motivo per cui sono diventato un docente pubblico, in fondo ragionare sull'arte come linguaggio porta a riflettere sul senso del gesto artistico piuttosto che al suo valore di mercato, e il gesto artistico nasce all'origine della nostra storia comunicativa sul pianete terra come un gesto pedagogico e didattico.

Andrea Mura, "Il disobbediente", private art collection.

 Durante i miei primi anni Cagliaritani, come ciclicamente sempre faccio e ho fatto, avevo la sana abitudine di distribuire in maniera casuale, sociale e affettivo simbolica i miei appunti artistici, insomma ragionavo, come ora ragiono, sul gesto artistico come segno fatto linguaggio per interconnettere individui e rappresentare realtà comunitarie.
 Regalavo, abbandonavo, buttavo e talvolta spedivo via posta prioritaria a caso i miei appunti di ricerca e percorso, segni in movimento.


Andrea Mura, private art collection.

Qualche giorno fa con Barbara, moglie e compagna di arte e di vita, siamo andati ad ascoltare dal vivo il nuovo progetto musicale dei Balentia, un pezzo di storia hip hop isolana, che qualche anno prima, via social network, avevamo contattato per rendere virale e mediatica nel territorio, la vertenza degli Ex operai Rockwool, progetto artistico e solidale al quale avevano aderito in maniera entusiasta.
La vertenza Rockwool è stata l'unica vertenza vinta dai lavoratori in un territorio devastato dalla crisi economica globale, in una provincia simbolo, la più povera d'Italia.


 Una delle due voci storiche dei Balentia, Andrea Mura in arte "leppa", la sera che siamo andati ad ascoltarli ci dice: "devo dirvi una cosa, ho visto sul blog della Tavor Art Mobil, delle fotografie di un vostro intervento al Camo, quei lavori mi hanno ricordato una lettera ricevuta nel 2004, che ancora custodisco, non ho mai capito bene e saputo perché mi è stato fatto quel dono inaspettato".


                             Andrea Mura, "Il disobbediente", private art collection.

Una volta ricevute le fotografie, non ho potuto non riconoscermi (tra l'altro accompagnavo sempre queste missive a una mia fototessera), erano dei miei lavoro distribuiti a caso tramite missiva, l'indirizzo? Dovevo averlo letto su qualche cd indy o qualcosa del genere, non ricordo e non so a chi ho spedito tracce del mio lavoro, spedivo dieci-quindici lettere a settimana.

Andrea Mura, "Il disobbediente", private art collection.

Morale della favola? Le sinergie tra mondi e linguaggi dell'arte, sono qualcosa di antecedente all'esplosione degli smartphone e dei social network, certi artisti, comunità e tribù lo sono sempre stati, in maniera più o meno consapevole.


                                         Invitato a Rai Educational proprio per ragionare su quella modalità di movimento.

Il link che mi ha permesso di risalire all'anno esatto della spedizione dei lavori a Andrea Mura: http://www.artrades.com/artista.asp?id=212

Io, tu e Max Papeschi, l'artista che vende (e non venderebbe) la mamma.


Io, tu e Max Papeschi, l'artista che vende (e non venderebbe) la mamma.

Acquistato il primo libro di Max Papeschi, "Vendere svastiche e vivere felici. Ovvero: come ottenere un rapido e immeritato successo nel mondo dell'arte contemporanea", della Sperling e Kupfer, ho ragionato con Max Papeschi sul lavoro, lui pensava lo stroncassi, invece io volevo ragionarci su, i linguaggi dell'arte, nella loro diversità geografica, sociale e culturale, sono sempre destinati a incrociarsi e relazionarsi, l'interconnessione digitale, in questo secolo, rende questi incroci sempre più veloci, questo dialogo si è svolto sul filo della rete digitale, tra il sud dell'isola e la California.

Mimmo Di Caterino:
Non vorrei stroncarlo, vorrei pubblicare una intervista dialogo sul testo se ci stai, ti sgancio la prima domanda e a lettura testo terminata pubblico l'intervista come la vedi?
Ovviamente sarò non tenero nel modo di porti le questioni, parto?

Max Papeschi:
Si ok! Ci metterò un po' a rispondere alle domande perché sono in California e scrivo dal telefono però ok, quando riesco ti rispondo!


Mimmo:
Senza fretta, intanto partiamo, io cerco di seguire il filo narrativo del tuo libro e parto: Sostanzialmente nel tuo libro sembra esserci un doppio registro, quasi un bipolarismo creativo, non si comprende bene se è maggiore la frustrazione per il fallimento da regista e/o performer teatrale o l'autocelebrazione per essere emerso come artista quasi per caso nell'epoca dei social network e delle loro interconnessioni, che nel tuo caso ti hanno relazionato a Roman Nowak? Già che ci sono aggiungo, come artista di questo millennio e la rivoluzione che ne deriva nel modo di operare e progettare non solo i prodotti, ma anche i processi creativi, non pensi che sia stato il tuo, un approccio al tempo (anche se casuale) un poco conservatore? Insomma la figura dell'artista che diventa popolare attraverso la figura di un mecenate è in fondo una figura stereotipata di fine ottocento o sbaglio? Così tanto per cominciare questo dialogo in maniera light!
Max:
Per quanto riguarda il discorso sul mecenatismo, prima di Poznan avevo già ottenuto ottimi risultati in Italia ed ero stato pubblicato su decine di riviste e centinaia di siti web in tutto il mondo. Questo è il motivo per il quale Roman mi ha proposto di lavorare con lui. Per chi non nasce in una famiglia particolarmente facoltosa, è necessario trovare qualcuno che sponsorizzi i nostri progetti, e per ottenere questo è fondamentale essere capaci di farsi notare in mezzo alla massa di wannabeartist che pullula in tutto il mondo, non solo del web. Io sono stato in grado di farlo, tu?
Non ho scritto questo libro per celebrare i miei risultati nel mondo dell'arte, tantomeno per manifestare la mia frustrazione per non aver sfondato in quello dello spettacolo. Ho semplicemente cercato di raccontare la mia storia. Che come tutte le storie, è fatta di vittorie e di sconfitte.

Mimmo:
No, io non sono stato capace di farlo, rispetto la tua scelta e alzo il tiro dell'intervista, vendere tua mamma e anche sposare Minnie per confermarne il ruolo pop di rispettabile "zoccola" sono delle operazioni che trovo realmente divertenti inquadrate in un gioco di spettacolarizzazione del marketing e del mercato, ma questo chiodo fisso del tuo rapporto con il mercato non temi ti renda un tantino Accademico?

Max:
Queste operazioni più che per il mercato, che in realtà è piuttosto disinteressato a questo genere di spettacolarizzazione, le ho fatte per non annoiare e sopratutto per non annoiarmi in un ambiente che invece trovo accademico per motivi molto diversi. Questione di punti di vista naturalmente.

Mimmo:
Mettiamola così, anche se in questa maniera non seguiamo il filo narrativo del libro, scopandoti Minnie e poi sposandola, in cosa avresti fatto una operazione diversa da Jeff Koons? Mettendo in mostra tua mamma con tanto di cartellino cosa hai fatto che non avesse fatto già Kounellis quando ha esposto il suo mongoloide alla biennale di Venezia? Certo quello che rende in realtà il tuo lavoro politico è forse proprio nella tua monografia, in un tempo come questo l'opera e le operazioni di un artista non possono essere scisse dalla monografia dello stesso, in questo senso ti do atto di essere all'avanguardia, c'è del calcolo in questo o è semplicemente dettato dall'uso, fatto necessità e mestiere, dei social network, i quali non ammettono conflitto e disordine tra etica del produttore-artista e l'estetica del suo prodotto? Aggiungo, hai ragione quando dici che il mercato non ama le spettacolarizzazioni, ma è anche vero che la risonanza mediatica di certe provocazioni un tipo di mercato lo traina sempre o comunque, o sbaglio?  
Max:
Dipende da cosa intendi per calcolo, ovviamente non faccio le cose alla cazzo, ma cerco di seguire un filo logico tra un'operazione e l'altra.

Il progetto "Exit from Heaven" già nel titolo dichiarava di essere una reinterpretazione del lavoro di Koons, nel libro ne spiego ampiamente il significato, quindi non mi dilungherò qui. Stesso discorso vale per la vendita di mia madre.  
Sono due cose molto diverse.
La risonanza mediatica traina il pubblico, non i collezionisti.  

Mimmo:
Quando nel libro denunci gli stereotipi di sistema, che sconfiggi attraverso l'alcol e qualche scopata cosa affronti in realtà? In fondo, proprio perché popolare, anche il tuo lavoro affonda nello stereotipo storico collettivo simbolico, sbaglio? Insomma perché tanto disagio? Già che ci sono, il collezionista mi sembra sia una figura preservata dalla tua causticità nel libro.
Max:
Non mi sembra di denunciare nulla, mi limito al descrivere fatti e persone che ho avuto modo di conoscere in questi ultimi anni. Il disagio che racconto è un fatto mio personale, non ha a che vedere con il mondo dell'arte nello specifico, ma con quello del successo in generale. I collezionisti in fondo sono le persone più pulite in questo ambiente, spendono i loro soldi sostenendo il nostro lavoro, permettendoci di vivere di questo e non essere costretti a fare altri lavori, perché dovrei attaccarli?

Mimmo:
Mi piace, penso possa bastare, anzi no, ultima domanda, il tuo rapporto con l'editoria specializzata come è? Non mi sembra che testate come flash art o artribune abbiano raccontato come merita il tuo lavoro, pregiudizio di mercato o cosa?
Max:
Su Artribune sono stato pubblicato più di una volta, quindi non ho nulla di cui lamentarmi. Per quanto riguarda l'altra rivista, nessun pregiudizio, semplicemente le gallerie con le quali lavoro in Italia non pagano spazi pubblicitari sulla sua testata, condizione necessaria e spesso sufficiente per essere presi in considerazione per degli articoli.
Mimmo:
Grande Max, brindo alla tua salute e un poco brillo, domani ti invio la versione definitiva di questo nostro dialogo prima di pubblicarlo, grazie di cuore e come si dice sull'isola "troppo togo" !
Max:
Io invece adesso vado a ubriacarmi alla mia inaugurazione .