mercoledì 1 aprile 2015

CONTRO IL PROCESSO A ERRI DE LUCA di Alessandro Dal Lago

CONTRO IL PROCESSO A ERRI DE LUCA  di Alessandro Dal Lago




Chiedo preventivamente scusa ad amici e contatti di FB per la lunghezza di questo post, ma la questione è grave e urgente. 
In poche parole, lo scrittore De Luca è sotto processo a Torino per “istigazione a delinquere”, avendo dichiarato in un’intervista del 2013 che “la Tav va sabotata” e che “le cesoie vanno benissimo per tagliare le reti [del cantiere Tav]”, dopo che due giovani militanti no Tav erano stati fermati mentre trasportavano in macchina bottiglie molotov, cesoie e altro materiale.
 Il processo è nato da una denuncia (in data 11 settembre 2013) della ditta incaricata di realizzare la linea ad alta velocità Torino-Lione. 
A questa vicenda De Luca ha dedicato il pamphlet “La parola contraria”, pubblicato da Feltrinelli nel gennaio 2015.
Questo post non riguarda lo scrittore De Luca, né l’Alta velocità, a cui sono avverso, anche se non condivido sempre le forme di lotta No Tav.
 Riguarda invece due questioni per me fondamentali:
 la giustizia penale e la libertà di manifestazione del pensiero. 
Ora, secondo me, il processo a De Luca, indipendentemente dal suo esito, costituisce una minaccia alla libertà d’opinione ed è l’ultima prova di una deriva repressiva e oscurantista di cui la Procura di Torino ha offerto diverse prove in questi anni. 
Inizio con un passo della denuncia che rivela una vera e propria captatio benevolentiae nei confronti della Procura di Torino, cioè il tentativo di appellarsi, da parte dei denuncianti, allo spirito delle leggi speciali anti-terrorismo, a cui, come è noto, Caselli, Procuratore capo all’epoca della denuncia, non è stato a suo tempo estraneo:
[Le dichiarazioni di De Luca] provengono da una persona, ora scrittore, che non ha mai nascosto un passato attivo in movimenti al confine della legalità e talvolta debordanti da essa. 
Da questo passato il De Luca non ha ritenuto ancora di recente congedarsi, come risulta senza difficoltà da fonti telematiche. Inoltre questo filo “rosso” lo ha indotto […] a negare la qualifica di terroristi alla Brigate Rosse”.
Ovviamente, che De Luca voglia “congedarsi” o no dal suo passato in Lotta continua è questione esclusivamente sua, come pure il giudizio sulle Brigare rosse, che ovviamente è opinabile, ma in quanto tale potrebbe essere perseguito solo in uno stato di polizia. 


Quindi, chiunque giudicherebbe un autogoal la retorica forcaiola e risentita dei denuncianti.
Non così i procuratori di Torino, i quali, nel 2014, hanno rilasciato le seguenti dichiarazioni al “Corriere della sera: “Al barbiere di Bussoleno possiamo perdonare se dice di tagliare le reti, a un poeta, a un intellettuale come lui, no.” 


È raro trovare, in sole due righe, un tale numero di stravaganti pregiudizi: 





1) per quanto si tratti di opinioni extra moenia, queste parole rivelano che i magistrati in questione confondono il “perdono” con l’attività inquirente (sarebbe compito di un procuratore perdonare o assolvere?); 





2) stranamente (per dei magistrati…), dimenticano che di fronte alla legge, un “barbiere” è uguale a un “poeta”; 





3) si capisce che non considerano molto le opinioni dei barbieri, i quali avrebbero giustamente tutto il diritto di risentirsi; 





4) in cambio, considerano pericolose le opinioni di poeti e scrittori, il che non è necessariamente vero, e anzi è un luogo comune da dittatura sudamericana; 





5) una volta di più, gli inquirenti hanno perso una buona occasione per tacere…



Per quanto mi riguarda, l’idea di essere indagato da gente così mi fa paura e conferma la scarsa reputazione della giustizia penale italiana, soprattutto nella fase inquirente. 


A riprova delle loro accuse di “istigazione a delinquere”, i procuratori allegano i “sabotaggi” compiuti dai militanti No Tav dopo le dichiarazioni incriminate di De Luca. 


Se pensano seriamente che i militanti abbiano compiuto le loro azioni perché persuasi dalle parole di De Luca, devono vivere proprio in un mondo di sogno e ignorare del tutto che cos’è un movimento come il No Tav. 


E anche questo fa paura, nel momento in cui si mettono a indagarlo. 


Tra l’altro, la procura di Torino è la stessa che ha iscritto nel registro degli indagati il filosofo Gianni Vattimo, notoriamente assai mite, per aver parlato di “persecuzione nei confronti dei No Tav”; è la stessa che ha rinviato a giudizio per “terrorismo” i quattro giovani che avevano danneggiato un compressore in Val di Susa. 


Va bene che son stati assolti, ma intanto hanno passato un bel po’ di mesi in isolamento totale. E non dimentichiamo che nel 1998 due giovani, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas si suicidarono, dopo che erano arrestati per “ecoterrorismo” e posti in isolamento, su richiesta della solita procura di Torino che indagava in Val di Susa.
Dichiarare che la Tav va sabotata non significa sabotarla, né istigare al sabotaggio.


 Significa esprimere un’opinione, discutibile quanto si vuole, ma che rientra nel diritto all’espressione a manifestare il proprio punto di vista. 


Se io dico, per esempio che simpatizzo pienamente con gli stranieri che cercano di scappare dai Cie, e che questi sono illegali, significa che istigo alla delinquenza? 


Di fronte a un’espressione così generica e opaca come “istigazione a delinquere”, che ricorre nell’articolo 414 del Codice penale, bisognerebbe richiedere ai magistrati inquirenti di mordersi tre volte la lingua prima di parlare di barbieri e poeti, e magari di mordere tre volte la penna prima di stendere l’atto di rinvio a giudizio. 


E anche consigliare loro di dare un’occhiata al celebre saggio di Austin, “Quando dire è fare”, che spiega la differenza tra un’affermazione performativa e un’opinione.
Non ho una grande predilezione, lo ammetto, per il poeta e scrittore Erri De Luca. 


Ma in questa vicenda mi schiero completamente dalla sua parte, perché qui stiamo parlando di lui come imputato perché intellettuale. 


Un fatto politicamente gravissimo, che oltretutto – se mi è consentito dirlo – danneggia ulteriormente la reputazione di un apparato giudiziario già in cattiva luce come quello italiano.


 Ma se anche De Luca fosse un barbiere, il processo sarebbe un atto insensato. 


Diciamo di no al processo De Luca anche a nome dei barbieri di questo mondo.






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