sabato 9 maggio 2015

"BERLINGUER" di G Angelo Billia

"BERLINGUER" di G Angelo Billia



Noto che la semplificazione, abitualmente finalizzata ad evitare inutili ridondanze e a condurre all’essenziale, è diventata una modo per sfuggire alla realtà.
In particolare a sinistra, questo modo di procedere si caratterizza evidenziando la difficoltà di affrontare argomenti scomodi, atti a dimostrare gli errori commessi, preferendo ad essi la proposizione semplificata di un passato (e di un presente) esclusivamente di fantasia.
A riprova di quanto sostengo è sufficiente rispondere alla domanda: se D’Alema, anziché avere avuto tutto il tempo di dispiegare la sua azione politica perniciosa, fosse scomparso trent’anni or sono, quelli che oggi lo criticano aspramente avrebbero compreso dove andava, o ne avrebbero fatto un’altra icona “comunista”?
La gravità di simile modo di procedere, si evidenzia anche nell’effetto di trascinamento, su persone che non hanno conoscenza diretta degli avvenimenti, ma che, scambiando il racconto semplificato per realtà incontestabile, finiscono per porsi come cassa di risonanza ad autentiche falsificazioni storiche.
Non ci sarebbe nulla di male, se la cosa si limitasse ad essere l’effetto irragionevole, ma umano, di negare la propria fallibilità individuale. 

Purtroppo, invece, la situazione è giunta ad un punto tale, da orientare le scelte individuali e collettive, causando una ripetizione infinita di errori già commessi.
Il limbo nel quale siamo relegati è causato dalla borghesia e dalla sua ideologia pigliatutto, la quale ha fatto sì che, in particolare da Berlusconi in poi, essa si affermasse anche in settori consistenti della sinistra. 

In particolare mi riferisco alla personalizzazione della politica. 
Forse su questo bisognerebbe riflettere, soprattutto dalla creazione di Rifondazione Comunista in poi. Io c’ero, e non credo di essere stato l’unico a vedere il ruolo sciagurato, assunto da improbabili capi “comunisti” come Bertinotti.
Né la penetrazione ideologica si è fermata lì. 

Se riflettiamo sulla tendenza a gestire “meglio” lo stato borghese, emersa chiaramente con la partecipazione alle varie coalizioni parlamentari finalizzate a maggioranze governative ce ne rendiamo conto. 
Nell’attualità della riproposizioni di modelli come Syriza, nell’affidamento spasmodico a questo o quel personaggio politico o sindacale, mondati per l’occasione da ogni critica, non si ritrova forse, specularmente, il modello culturale fornito dalla borghesia?
Purtroppo, come dicevo all’inizio, questo cedimento senza riserve coinvolge l’analisi sulla stessa storia del movimento operaio nel suo complesso. 

Se così non fosse, sarebbe davvero incomprensibile come, nelle stesse persone, possano coesistere critiche aspre alle conseguenze della degenerazione del PCI e elogi fideistici verso chi questa degenerazione l’ha propiziata.
Berlinguer, ripercorrendo le aspirazioni che furono alla base delle scelte di Nenni, cercò di portare alle estreme conseguenze il “dialogo coi cattolici” di togliattiana memoria, declinandolo in termini di alleanza con i partiti cattolici per la gestione dello Stato capitalistico. 

Da ciò si comprende anche la ragione della scelta della NATO come ombrello sotto il quale farsi difendere.
Il progetto berlingueriano si saldava con quello di Aldo Moro e della sua corrente DC, cioè dare al paese un governo con i comunisti, che avrebbe gestito per conto dei padroni di sempre, mettendo la sordina alla ribellione che si avvertiva nel paese e di cui le BR non furono altro che un’espressione minoritaria.
Il processo subì una battuta d’arresto con la morte di Moro, ma non venne abbandonato affatto, tant’è vero che si accentuò nel PCI la convinzione che occorresse somigliare anche nella forma, sempre di più ai partiti della borghesia.
La personalizzazione della politica, che ha avuto il coronamento come fatto universalmente condiviso con Berlusconi, era già presente nella pratica della DC e divenne cosa normale anche nel PCI.

 Il centralismo democratico, che per tutto un periodo rimandava l’immagine di un PCI monolitico, divenne guerra pubblica per bande, ognuno col suo capo, ognuno a dimostrare che non c’era differenza fra PCI e partiti della borghesia.
Il risultato lo conosciamo, allo scioglimento del PCI avvenne, fra i comunisti, un singolare processo di rimozione. 

Probabilmente fu dovuto anche alla foga di recuperare un patrimonio politico ideale che rischiava di perdersi, attraendo il lavoro su un piano più istintivo che ragionato. 
Sta di fatto, però, che l’assenza di un’analisi delle molte ragioni che avevano condotto allo scioglimento, fece sì che la nuova formazione ripartisse esattamente da dove, nel PCI, il lavoro per giungere a gestire lo Stato borghese aveva annacquato il progetto originale.
Se si pone mente a queste cose e si guarda lo sfacelo attuale delle organizzazioni che si definiscono comuniste, la spiegazione più semplice e scontata è nella domanda: perché mai la borghesia per gestire i suoi affari dovrebbe ricorrere a chi, un tempo, in modo organico sosteneva il suo abbattimento? 

Per converso, se i comunisti legittimano lo Stato della borghesia perché le masse oppresse dovrebbero dargli credito?
Da ciò deriva una cosa sola, o i comunisti riprendono seriamente il percorso di fatto interrotto tanto tempo fa, o non sarà un paradiso composto da santi improbabili a cambiare la natura del nulla attuale.



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