sabato 2 maggio 2015

"MILANO: INCAPPUCCIATI E DINTORNI" di G Angelo Billia

"MILANO:
INCAPPUCCIATI E DINTORNI" di G Angelo Billia




Il rischio di dire stupidaggini è alto, perché sono molte le variabili di cui tenere conto, eppure, senza nulla concedere alla rabbia del momento, ponendosi in modo propositivo di fronte agli avvenimenti, è necessario cercare di ridurre l’analisi all’essenziale, agli elementi di fondo, quelli in mancanza dei quali nulla è più davvero comprensibile e qualsiasi giudizio finisce per essere inficiato dalla pancia.
La prima constatazione che invito a fare, è quella relativa alla libertà di dissenso.

 Non parlo di ciò che può pensare un trinariciuto comunista, cieco e sordo ad ogni istanza che non sia la sua, no, parlo di quella libertà sancita da una Costituzione che non può essere certo definita comunista.
Su questo punto, per non essere tacciato di anacronismo dai teorici del “moderno”, voglio dire che la libertà di manifestare non può essere limitata da gabbie fisiche e informative, perché ciò equivale alla negazione di tale diritto.
Eppure, guardando agli avvenimenti milanesi di ieri, questo elemento è bellamente ignorato dai più, anche fra coloro che analizzano gli scontri dal punto di vista di chi c’era e si sente defraudato dall’oscuramento delle ragioni politiche della manifestazione, avvenuto, si dice, ad opera degli incappucciati.
Ciò implica, come conclusione, che tali ragioni sarebbero divenute di dominio pubblico se non ci fossero stati gli scontri.
Ieri ero fra quelli che “cercavano” la notizia, perché, pur avendola già in quanto uomo di sinistra attento agli avvenimenti, mi domandavo in che misura sarebbe stata divulgata, in quella fascia di popolazione suscettibile ad essere perlomeno scossa dalle ragioni politiche della manifestazione.
Ciò che sarebbe giunto a questo “pubblico” era un “è in corso una manifestazione di protesta contro l’expo” recitato nel contesto di un’”informazione” che, per il resto, escludeva solo l’intervista al cane del Vip che faceva ala ossequiente alla performance di Renduce, alle prese con la versione moderna dei covoni di grano.
Porci e cani, esclusivamente e letteralmente porci e cani hanno avuto la possibilità di esprimersi di fronte al paese.
Ovviamente questa constatazione non giustifica nulla, ma certo, se si dimentica, porta ad un’analisi falsata degli avvenimenti, falsata in quanto basata su una supposizione, più o meno personale, secondo la quale senza i cattivi, i buoni avrebbero detto la loro. 

Il fatto che l’avrebbero detto in un deserto costruito ad arte, finisce per non avere nessun valore.
In questa situazione, nell’ambito di una società che rende impercepibili alle grandi masse, sia i disastri causati dalla gestione capitalistica, sia le proposte politiche atte ad eliminarli o perlomeno a contenerli, non c’è nulla di cui meravigliarsi se la disgregazione culturale che ne consegue dà luogo a elementi di nichilismo fra le masse giovanili.
Che, poi, questi elementi siano sfruttati ad arte dal nemico di classe, è un fatto.
Come sempre, se si vuole attingere ad argomenti obiettivi nel valutare una situazione, occorre rifarsi ad una visione razionale che implica un’occhiata all’accaduto del passato.

 Si colgono qua e là riferimenti al servizio d’ordine. 
Qualcuno recrimina sulle pecche di quello della manifestazione di ieri, qualcuno ricorda quelli del PCI con rimpianto.
Pur essendo un assertore dell’utilità di questo strumento, noto nei più, con dispiacere, che prevale sempre l’analisi di pancia, cioè l’antitesi della razionalità.
Molti dimenticano che, quando un movimento politico è ritenuto pericoloso per il buon andamento della gestione capitalistica, lo Stato non ha problemi ad additarlo come illegale, magari anche orchestrando qualche azione significativa che lo dimostri, anche a prescindere dagli incappucciati.
Pur non parlando degli argomenti “militari”, ciò che balza agli occhi, soprattutto con riferimento al servizio d’ordine del PCI, è l’assenza assoluta di analisi politica. 

Assenza che era presente anche allora, creando le condizioni obiettive affinché esso agisse non in nome di un concetto di democrazia reale, quanto piuttosto di quel concetto di legalità indicato dalla borghesia e fatto proprio dalla dirigenza del PCI.
Il risultato di quest’impostazione è quello che migliaia di uomini onesti hanno prestato la loro abnegazione e il loro vigore alla normalizzazione dello sfruttamento capitalistico.
Prima di obiettare a quest’asserzione, pregherei di por mente al fatto che, parlando per esempio di diritti sindacali, tutto questo è servito a ridurre intere categorie di lavoratori, a non poter dar luogo a scioperi incisivi, perché “illegali”. 

Facendo un esempio concreto, gli eventuali danni all’”utenza” derivanti da uno sciopero, hanno ridotto gli stessi scioperi ad una burla.
 L’operazione culturale riuscita benissimo consiste nel fatto che tutti noi abbiamo accettato di essere “utenti”, dimenticando completamente l’elemento essenziale, cioè l’unità e la solidarietà di classe. 
Per carità di patria non parlerò di dove ci avrebbe portato l’azione del PCI sul piano politico. 

E’ sotto gli occhi di tutti quelli che vogliono vedere.
Tornando a bomba, dirò esplicitamente che considero, in un contesto come quello di ieri a Milano, il bruciare auto indiscriminatamente o il danneggiare attività commerciali, espressione di un atteggiamento nichilistico che ha la sua origine nella disperazione e nell’ignoranza. 

Cioè due cause interamente ascrivibili al sistema.
Rimane il fatto che senza gli scontri la maggior parte del paese non avrebbe neppure saputo della manifestazione, figuriamoci delle sue ragioni politiche e che, se le ragioni della condanna dell’accaduto somigliassero a quelle di Salvini, qualche interrogativo bisognerebbe porselo.
Infine, eviterei di accapigliarci sulle esche gentilmente fornite e ricorderei che l’elemento di fondo è imporre il rispetto delle libertà fondamentali, sfuggendo alla tentazione di sprecare tempo, per avvalorare la tesi secondo la quale questo Stato ha una giustizia. 

Non è così. 
La giustizia dello Stato si ferma là, dove finiscono gli interessi dei parassiti e cominciano quelli di chi lavora.
Cerchiamo di non dimenticarlo mai.



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