mercoledì 1 luglio 2015

"Non ci sto!" di G Angelo Billia!

NON CI STO! di G Angelo Billia



E chi se ne frega!
Mi rispondo da solo, per evitare la fatica ai tanti in fibrillazione per la “rivoluzione” di Tsipras.
Per gli altri, per quelli che non pensano che il ragionamento, quando non condiviso, sia portatore del reato di lesa maestà, vorrei porre qualche elemento di riflessione.
Ovviamente si parla di Grecia, di referendum, di Europa politica ed Europa economica.
Sento Renzi parlare di fallimento della visione economica dell’Europa e improvvisarsi paladino dell’Europa politica che, sostiene, non è mai stata attuata. 

E’ vero, l’Europa immaginata da alcuni non è quella che si è concretizzata. 
Ma è falso attribuire alla sola economia il disastro europeo attuale.
L’Europa è un’entità politica, che ha il compito di garantire l’attuazione del potere sui suoi abitanti per conto della borghesia e delle sue espressioni organizzative economiche.

 Ciò è reso possibile dalla trasformazione dei gruppi dirigenti politici nazionali in semplici attuatori delle decisioni maturate in quell’ambito.
La perdita delle nazionalità, nei paesi europei, ha comportato anche il ridimensionamento, quando non l’annientamento, delle stesse garanzie democratiche, considerate un orpello non utile a garantire l’attuazione dei progetti economici.
Serve a poco, anche se va rilevato, che Renzi denuncia sé stesso quando sostiene il contrario del suo operato governativo.
La perdita dei diritti più elementari dei lavoratori, il massacro della Sanità pubblica, della Scuola, dei servizi sociali, delle pensioni, unito alla controriforma costituzionale e l’affidamento sempre più insistente ai privati di settori vitali dell’economia nazionale, è lì, ad indicare, più di qualsiasi parola, la natura politica di quest’Europa.
Se servisse altro per capire, basterebbe guardare il percorso del debito pubblico nei paesi dell’eurozona.

 Soprattutto in paesi più indebitati, come l’Italia, nel momento in cui è iniziata la macelleria sociale per limitarlo, è continuata la sua crescita senza controllo.
Facendo sfoggio di una verve da imbonitore da fiera di terz’ordine, Renzi giustifica il suo allineamento alla reggia ragionieristica europea, sostenendo che gli italiani non hanno perso pensioni e quant’altro per pagare la pensione ai greci.
Non sarà qualificando il popolo greco come accattone che riuscirà a convincere, che le cosiddette riforme non hanno avuto che lo scopo di disarmare le masse e consegnarle inermi all’ingordigia dei suoi rappresentati.

Il debito pubblico non è altro che il corrispettivo economico delle scelte politiche banditesche fatte dai governi a nome e per conto di chi ne traeva profitto.

 Un esempio per tutti: l’esercito di un paese come l’Italia, considerando la Costituzione, avrebbe pesato per una parte infinitesimale sui conti pubblici. 
Al contrario, nel corso degli anni le scelte governative hanno favorito l’arricchimento dell’industria delle armi a tutto discapito dei conti stessi.
In queste condizioni, qualsiasi politica improntata alla riduzione del debito pubblico dovrebbe tener conto delle sue modalità di costruzione, a maggior ragione per escludere che a pagare debba essere chi non ha mai goduto vantaggi dal suo consolidamento.
La Grecia, in modo, rispetto ad altri paesi, per varie ragioni più marcato, sta subendo gli effetti di questo conto fraudolento. 

Non è cosa recente, senz’altro, ma sta di fatto che Tsipras ha apertamente accettato questa contabilità prima ancora di essere eletto. 
La contraddizione è tutta lì, nel chiamarsi fuori o meno dalla logica perversa europea.
La trattativa per la ristrutturazione del debito greco, non ha mai messo in dubbio il meccanismo perverso che ha messo in ginocchio la parte più debole del popolo. 

Anzi, in un certo senso lo ha legittimato, facendo credere che la rapina dei popoli europei sia solo frutto della maggiore o minore disponibilità a trattare.
Anche il referendum, scorporato dalle fantasie dei tanti sinistri che hanno come modello la borghesia buona, lungi dall’essere un fatto democratico, si inserisce nel filone della legittimazione delle richieste banditesche europee.
Per chiarezza dirò che sono schierato per il no, ma lo sono solo per la valenza di protesta che in questo risultato si rileverebbe.
Rifiutare l’Europa capitalistica, a mio giudizio implica un percorso diverso, e non necessariamente di tipo barricadiero.

 I percorsi rivoluzionari sono dettati dalle situazioni concrete, senza cedere ad idealizzazioni infantili, ciò vuol dire che il governo che intende percorrere questa strada deve percorrere tutte le opzioni a disposizione, compreso l’uso strumentale delle contraddizioni interimperialistiche.
Sul piano interno, però, non ci si può esimere dal por mano a misure coerenti con l’obiettivo, ad esempio, facendo pagare la parte della Grecia che finora è vissuta arricchendosi all’ombra delle misure europee. 

Ciò comporterebbe, innanzitutto la nazionalizzazione senza indennizzo dei settori chiave della finanza e dell’industria e la privazione dei diritti civili, per chi, a vario titolo, ha contribuito a determinare la rapina sulle spalle del popolo greco.
In assenza, purtroppo, devo dire che i peggiori nemici della Grecia sono ancora lì, e alcuni, purtroppo, sono anche presenti fra i promotori del referendum.
Comunque, quand’anche si verificasse la vittoria auspicabile dei no, lo strabismo di certa sinistra, finirà nell’ennesima mano a sua maestà, il capitale.


P. s. Chi parla di ripresa dipendente dal maggiore o minore tempo a disposizione per pagare i debitori, mente. 

Il debito costruito dalla borghesia e dai suoi uomini non si paga, o, in alternativa, lo paga chi l’ha prodotto.


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