mercoledì 9 settembre 2015

DIBATTITO A SINISTRA di G Angelo Billia

DIBATTITO A SINISTRA di G Angelo Billia



Dopo aver letto più di un intervento sulle sorti future della sinistra, mi domando davvero in quale dimensione spazio temporale sto vivendo. 

Forse la macchina del tempo mi ha riportato indietro, cosa che il mio cervello sa fare egregiamente senza bisogno di apporti esterni, ma sta di fatto che, stavolta, davvero, io non c’entro.
Nuovo secolo, nuovo capitalismo, nuovi comunisti. 

Eh sì, è tutto nuovo.
Peccato che questo nuovo ricalchi pedissequamente, un dibattito svoltosi nelle stesse forme e con gli stessi contenuti, negli anni settanta ed ottanta del secolo scorso. 

Anche allora c’era larga parte della sinistra impegnata nel giochino che l’avrebbe riportata a distanza di trenta, quarant’anni, a ripetere la stessa manfrina “nuova”, idonea a portare su binari contigui al capitalismo anche eventuali critici di passaggio.
Ognuno si definisce comunista, quando non è talmente pudico da pensare che anche il termine sia superato, e ognuno si definisce marxista, qualcuno per la consapevolezza che definirsi nuovo Marx porrebbe qualche problema in più di credibilità, qualcun altro invece, lo fa per l’ansia di dare una giustificazione scientifica, sia pure traballante, al suo dire.
Tutti sembrano ansiosi di formulare proposte, riproponendo “analiticamente” l’immagine pari, pari, dello sfacelo della sinistra, dimenticando quasi sempre le cause che l’hanno determinato. 

Una foto, appunto, al posto di una sana analisi che tenga conto soprattutto degli errori imputabili alla sinistra stessa. 
L’effetto di questi errori, cioè l’organizzazione pressoché autonoma di movimenti di massa su basi parziali, anziché essere analizzato, appunto per quello che è, viene utilizzato per indicare “nuove” basi di “partenza”.
Nel contesto appena delineato anche la questione della socialdemocrazia finisce per l’assumere contorni “nuovi”, al punto che, accanto a chi la considera furbescamente definitivamente spacciata, si ritrova quello che, invece, pur facendo un discorso critico, non trova di meglio che un’ipotesi socialdemocratica, magari spacciata per quanto di meglio e di alternativo oggi è possibile.
Né le cose vanno diversamente di fronte alla constatazione della perdita di sovranità degli Stati della borghesia europea.

 Evidentemente ricordare l’internazionalismo come elemento caratterizzante del marxismo non vale, toglierebbe mordente all’attrazione fatale verso i nuovi movimenti popolari e alla loro obiettiva socialdemocrazia, a riprova che per molti la classe operaia, in quanto classe antagonista della borghesia non ha valore attuale.
In questo guazzabuglio “nuovo”, trovano posto “nuovo”, in veste di alternativi, sia sindacalisti che era meglio facessero bene il loro lavoro, sia “sinistri” i quali, fra un boccone e l’altro di sana collaborazione di classe, passano la vita a saltellare per centrare la poltrona più confacente alle proprie esigenze.
Per sgomberare il campo da possibili equivoci, affermo che, la risposta più coerente a questo stato di cose, lungi dall’essere la riproposizione “la rivoluzione proletaria, il socialismo, il comunismo”, debba consistere nella capacità di superare gli errori del passato, consapevoli che non c’è alternativa reale, anche oggi, al partito della classe operaia e alla sua capacità di adeguare anche il linguaggio, per far comprendere appieno il significato dell’unica alternativa reale possibile a questa società.
Fino a che ciò non sarà compreso, il movimento comunista sarà diviso fra testimoni del verbo e millantatori e la borghesia potrà continuare a dipanare la sua matassa d’oppressione, coadiuvata anche da chi indica la possibilità mendace di un capitalismo buono.



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