giovedì 8 ottobre 2015

"Non sono all’altezza" di G Angelo Billia

FIDANZAMENTO D’INTERESSE
Che le cose fra Casa Bianca e la sua emana

zione in MO, lo Stato nazista d’Israele, non andassero troppo bene si sapeva. I segnali del malessere israeliano c’erano tutti, dalle dichiarazioni feroci, appena mitigate da un residuo di vezzo diplomatico, di Netanyahu, alla mobilitazione della lobby ebraica statunitense contro Obama, fino a giungere agli incontri dello stesso Netanyahu con i repubblicani, in opposizione al partito del presidente.
Le ragioni di tale malessere sono note, ma l’elemento di fondo, quello che ha mandato su tutte le furie l’Adolf d’Israele, è l’accordo sul nucleare iraniano.
Il governo israeliano considerava l’Iran “cosa sua”, da risolvere, a tempo debito, a suon di bombe. 

Bastava che gli SU continuassero nell’azione, condotta con lo stesso stile di quella relativa alle armi di distruzioni di massa, inesistenti, di Saddam. Sarebbe seguita una bella coalizione internazionale, magari, ma non è detto, sotto egida ONU, e i palestinesi avrebbero perso l’unico appoggio statale esistente nell’area.
Quest’operazione, per Israele, avrebbe avuto il pregio, tra l’altro, di relegare ancora in un cantuccio la superpotenza russa, per procedere allo smembramento della Siria e rendere definitiva l’annessione del Golan, magari con altre acquisizioni territoriali.
L’accordo ha mandato a carte quarantotto il piano, sancendo anche il reingresso della Russia sulla scena politica internazionale, in qualità di garante dell’accordo stesso. Il groviglio delle contraddizioni dell’imperialismo occidentale in medio oriente, ha fatto il resto.
Che la Russia avrebbe usato questa nuova posizione per incidere ulteriormente sugli equilibri politici in medio oriente, nelle cancellerie occidentali lo si sapeva già prima dell’accordo, nulla di strano, quindi, se la diplomazia israeliana già lavorava per un accordo con la Russia, allo scopo di neutralizzare quello che percepiva come il pericolo iraniano e mantenere in un ambito regionale, quello che sarebbe stato l’intervento militare russo.
L’altro elemento, divenuto, a causa della nuova situazione, vitale per Israele, è la consapevolezza della transitorietà dell’alleanza di fatto con gli emirati arabi e con la stessa ISIS. 

Se il revanscismo panarabo risulta ancora in secondo piano rispetto al servizio all’imperialismo occidentale, esso è destinato a prendere il sopravvento nel momento in cui le conquiste sul campo del califfato, permettessero di acquisire alla causa panaraba paesi come la stessa Siria. 
Cosa ciò significherebbe per Israele è facilmente intuibile.
Da questo amalgama di contraddizioni scaturisce l’incontro Netanyahu Putin e il gruppo di contatto, a Tel Aviv, fra i due paesi. 

Si tratta di un fidanzamento d’interesse transitorio, che s’inquadra perfettamente nell’assenza permanente di qualsiasi concetto morale, nel carnaio mediorientale e in chi lo ha creato, NATO e Washington in testa.




Non sono all’altezza


Si presenta bene, fare serioso, abbigliamento in tono, ragionevolezza melensa appena scalfita dallo scatto di nervi, che si intuisce nella perdita (pilotata), per alcuni nanosecondi, dell’aplomb, quando gli argomenti, tanto amabilmente affrontati, richiedono maggiore coinvolgimento per essere credibili.
E’ il narratore moderno di favole, definito anche giornalista televisivo.
Si deve a lui se un satrapo di provincia diventa partito, se un vecchio arnese della finanza nominato dall’altrettanto vecchia badessa, giocando a fare il tedesco, in Parlamento, mette in ginocchio migliaia di persone, se un chierichetto della DC “unto” dalla vecchia badessa, non dimentica dei trascorsi giovanili, viene inteso come un filantropo che periodicamente elargisce doni al popolo.
Sempre a lui, si deve l’esecrazione per i gestacci, anche chiamati scioperi, a cui qualche volta si abbandona la gente che lavora. 

E’ lui che riferisce l’appellativo “terrorista” ai danni dei resistenti e la definizione “missioni di pace” alle guerre condotte da noi. 
Ed è lui che osa chiamare imparzialità l’intervista, spesso casuale, ad un partecipante ad una manifestazione di protesta, annegata nel mare delle falsificazioni di quelli che contano.
Alle spalle ha una vecchia tradizione a cui attingere, quella della velina, del salto sul carro della cordata vincente, del servizio pubblico che non è mai stato tale, della popolarità immeritata e soprattutto quella della carriera e dello stipendio.
Diciamo che, almeno lui, condivisibile o no, qualche motivo ce l’ha.
Ora bisognerebbe parlare del suo pubblico, ma non mi sento all’altezza.



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